Gli italiani fanno prestiti per curarsi. Nel 2023 oltre 1 miliardo di euro.
Aumenta la richiesta di prestiti per curarsi. Davanti a lunghe liste di attesa, a liste bloccate, alla necessità di affrontare percorsi di cura immediati che si scontrano con tempi di attesa incongrui per la diagnosi e spesso anche con l’urgenza della prescrizione medica, si è “rotto il tabù” di chiedere un prestito per cure mediche e “il valore dei finanziamenti personali erogato nel 2023 per le cure sanitarie è di oltre un miliardo di euro”.
È una recente stima di Facile.it che ha svolto un’analisi sulle richieste di prestiti per curarsi: nel 2023 sono in aumento del 6,6% rispetto al 2022.
La fuga verso il privato è spesso obbligata ma lascia indietro molti.
Come evidenzia il recente rapporto Ospedale&Salute di Censis e Aiop, “è stato costretto a procrastinare o a rinunciare alle cure a causa del costo troppo elevato il 42% dei redditi fino a 15 mila euro”.
Molti devono tagliare altre spese per far fronte a quelle per la salute: lo fa oltre un terzo degli italiani ma la metà di chi ha un reddito basso.
L’analisi di Facile.it parla chiaro e dice che ormai sempre più persone richiedono un prestito per garantire cure mediche, che chi se lo può permettere si rivolge al privato anche per esami meno costosi per aggirare i tempi delle liste d’attesa per i servizi offerti dal sistema sanitario nazionale. Il valore dei prestiti per le visite supera il miliardo di euro ed il dato è destinato ad aumentare».
Molti pazienti con redditi bassi sono costretti a rimandare le cure, o a rinunciarvi di fronte ai costi della sanità a pagamento e molti devono tagliare altre spese per curarsi.
L’aumento della richiesta di prestiti per curarsi “è spinto dalla lunghezza delle liste di attesa per i servizi offerti dal sistema sanitario nazionale, tanto da scegliere di rivolgersi alla sanità privata anche per esami meno costosi”. È quanto ha evidenziato la recente indagine fatta da Facile.it e Prestiti.it su un campione di oltre 400 mila domande di finanziamento raccolte online dai due portali.
Il peso percentuale delle domande di prestiti destinati alla sanità è aumentato del 6,6% e l’importo medio richiesto è calato leggermente (-4%), arrivando, in media, a circa 6.152 euro. Questo andamento va letto in riferimento ai lunghi tempi di attesa del servizio sanitario nazionale, mentre la diminuzione dell’importo richiesto potrebbe essere legato a due fatti: da un lato, al fatto che probabilmente ci si rivolge alla sanità privata anche per visite o esami mediamente meno costosi; dall’altro all’aumento dei tassi di interesse che hanno reso i finanziamenti più cari. Nel 2022 il Taeg medio riservato a chi ha sottoscritto un prestito personale per spese mediche è stato pari al 9,41%, valore salito al 10,86% nel 2023, in aumento del 15,4%.
La fuga verso il privato è spesso forzata (per chi deve rispondere subito a esigenze di cura) e lascia indietro quanti non possono accedere ai costi della sanità a pagamento.
Secondo il rapporto Ospedali&Salute del 2023, ogni 100 tentativi di prenotazione nel Ssn, la quota di popolazione che rinuncia e si rivolge alla sanità a pagamento è del 39,4% (il 34,4% dei bassi redditi). In particolare, il 12% ricorre all’intramoenia (la sanità privata nelle strutture pubbliche) e il 18% al privato puro.
Il 51,6% degli italiani sceglie direttamente la sanità a pagamento, senza provare a prenotare nel Ssn – inteso in tutto il Rapporto Ospedali&Salute sia nella sua componente di diritto pubblico sia nella sua componente di diritto privato – una quota alta anche tra la popolazione a basso reddito (40,6%). La spesa sanitaria privata degli italiani ormai rappresenta circa un quarto della spesa sanitaria totale (il 24,5%).
Il rapporto evidenzia un fenomeno di “sanità per censo”.
Tempi di attesa incongrui con la gravità e complessità del quesito diagnostico o della diagnosi rappresentano uno degli elementi di maggiore iniquità nell’ambito di un sistema a vocazione universalistica, dal momento che determinano una divaricazione tra coloro che possono rivolgersi al mercato delle prestazioni sanitarie – al di fuori del Servizio sanitario nazionale – e coloro che, per ragioni economico-sociali, non possono ricorrere alla sanità a pagamento. Per questi ultimi l’alternativa è tra un’attesa suscettibile di compromettere, in tutto o in parte, il proprio stato di salute e la rinuncia alle cure.
L’erosione della ricchezza che ne deriva ha naturalmente un impatto diverso a seconda del redditi. Il 36,9% degli italiani ha rinunciato ad altre spese per sostenere quelle sanitarie ma questa percentuale sale al 50,4% tra i redditi bassi (ed è il 40,5% tra quelli medio-bassi, il 27,7% tra quelli medio-alti e il 22,6% tra quelli alti).
C’è poi il dramma di chi rinuncia alle cure o è costretto a rinviarle perché non può sostenere i costi della sanità privata: “è stato costretto a procrastinare o a rinunciare alle cure a causa del costo troppo elevato il 42% dei redditi fino a 15 mila euro, il 32,6% dei redditi tra i 15 mila e i 30 mila euro, il 22,2% di quelli tra i 30 mila e i 50 mila euro e il 14,7% di quelli oltre i 50 mila euro”.