Abolizione mercato di maggior tutela

Perché non mi convince l’abolizione del mercato di maggior tutela dell’energia !!!

 Il mercato libero dell’energia oramai esiste da dieci anni ma, nonostante tutte le visite a domicilio e le telefonate dei call center all’ora di pranzo e cena, solo una famiglia su tre è passata al mercato libero. Il motivo è la mancanza di fiducia, giustificata perché chi ha scelto questo passaggio ha inizialmente goduto di tariffe promozionali che poi sono state elevate senza nessun controllo! In realtà se siamo onesti uso questa parola, il mercato libero ha reso più cara la luce del 15% ed il gas del 5% gas. Inoltre per “accaparrarsi” un mercato molto appetibile, sono esplose pratiche commerciali sleali e in molti casi illegali! il mercato libero, finora, si è rivelato più caro e quindi non in grado di proteggere i consumatori. Liberalizzazione dovrebbe significare maggiore concorrenzialità, ma finora questo nel nostro paese non è accaduto.

Il Codice del Consumo, in Francia, prevede che in caso di gravi informazioni ingannevoli non solo le imprese vengano sanzionate, ma deve risponderne personalmente anche il presidente o amministratore delegato o altro responsabile dell’azienda, che rischia fino a sette anni di detenzione e 700mila euro di multa. In Italia solo l’impresa è sanzionabile, e le società accantonano in partenza delle somme da utilizzare proprio in questi casi. Le multe, quindi, sono solitamente del tutto innocue. I consumatori vittime di informazioni ingannevoli o pratiche commerciali sleali debbono avere diritto a un risarcimento da parte della Società che si è comportata scorrettamente!

 Il governo italiano, nel 2014, ha deciso con vari spostamenti di data che sono ancora in forze (2018 / 2019)? dovrà essere abolita la maggior tutela, con la motivazione ufficiale che questa contrasta con le norme europee contro le tariffe amministrate.  Non è vero perché le indicazioni Ue riguardano unicamente le tariffe amministrate in presenza di agevolazioni da parte dello Stato. Il mercato di maggior tutela italiano non prevede alcun intervento statale ed è stato addirittura riconosciuto dalla Commissione Ue per l’Energia “una buona pratica nel mercato europeo”. La reale motivazione della decisione italiana, quindi, è di rendere l’energia un business che si esprime nel rapporto impresa-consumatore, non considerando quindi l’energia un servizio! Si tratta di una scelta che risponde solo alle esigenze delle imprese, ma non a quelle delle famiglie e dei cittadini.

L’autorità ha inizialmente difeso la maggior tutela come cosa positiva, affermandone la coerenza con le norme europee. Poi si è uniformata alle posizioni del governo, limitandosi a cercare di rendere il passaggio definitivo al mercato libero più “digeribile”, introducendo la comparazione tra tariffe ed il concetto di tariffa e contratto standard tramite una comparazione semplificata tra tariffa e contratto standard. A fronte della persistente resistenza delle famiglie, poi, si è inventata la tutela simile, una sorta di premio per chi passa al mercato libero ma che in realtà è solo una trovata per rendere più digeribile la pillola e forzare le famiglie.

È in atto una non facile discussione a Bruxelles, presso l’Autorità dell’energia Ue proprio su questo. Il comparatore è utile, ma per funzionare deve comparare tariffe standard, fatte con gli stessi criteri per tutti e legate al consumo tipico di una famiglia.  chiaramente, un’impresa può comunque proporre altre offerte commerciali, ma la comparazione deve essere effettuata in base ad una tariffa standard ed a prezzo pulito, senza bonus o promozioni. Solo così i comparatori possono essere utili e importanti strumenti. Diversamente, rappresentano un ulteriore modo di raggirare i consumator

 

Anche in Inghilterra, la patria del libero mercato, i consumatori non se la passano bene. Per lo meno quando hanno a che fare con le bollette di luce e gas. A dirlo, nero su bianco, è l’Antitrust britannico (Cma), che è perfino arrivato a chiedere un tetto ai prezzi sulle offerte più costose (“price cap”) in attesa che il mercato funzioni meglio. Nel Regno Unito tutto nasce dai risultati preliminari di un’indagine del garante sulle grandi utility, avviata su richiesta del regolatore energetico Ofgem.

 Le società finite sotto esame sono Sse, Iberdrola, Centrica, Rwe, E.on ed Edf, le cosiddette “big six”. Controllano da sole il 90% circa del mercato energetico britannico, senza alcuna separazione proprietaria tra le attività di generazione e quelle di distribuzione dell’energia. Il quadro che ne esce è desolante. Negli ultimi 10 anni, i prezzi dell’elettricità per le famiglie sono aumentati del 75% e quelli del gas del 125%.A poco sono serviti gli interventi regolatori per semplificare le tariffe e stimolare la concorrenza: il 34% dei consumatori non ha mai neanche pensato di cambiare fornitore e il 70% continua ad affidarsi alla “tariffa variabile standard” nonostante esistano offerte migliori. I clienti non cambiano fornitore perché non riescono a districarsi e a comprendere le proposte sul mercato e perché sono impauriti da bollette poco comprensibili e imprecise.

Nel Regno Unito viene considerata povera energeticamente quella famiglia che deve spendere più del 10 % del proprio reddito per riscaldare adeguatamente la propria abitazione, 21°C negli ambienti della zona giorno e 18°C nelle altre stanze.

 Le famiglie povere energeticamente sono salite numericamente del 22 % dal 2008 al 2009. 

Nel 2009, vi erano circa 5,5 milioni di famiglie povere di carburante nel Regno Unito, in aumento rispetto ai 4,5 milioni del 2008, secondo il DECC (Department of Energy & Climate Change) descritto nel Annual Report on Fuel Poverty Statistics 2011.

La causa? Naturalmente, la crescita non positiva del numero di poveri è data dall’aumento del prezzo del carburante, 14% del gas e 5 % dell’energia elettrica.

Le proiezioni indicano un probabile aumento a 4,1 milioni di famiglie povere energeticamente in Inghilterra per il 2011… poi si vedrà.

 Il risultato è che tra il 2009 e il 2013 le società hanno guadagnato 1,2 miliardi di sterline l’anno in più di quanto, secondo l’Antitrust, fosse legittimo. Il tutto alla luce del sole, senza violare alcuna norma.

 Porto un ultimo esempio: la tanto decantata liberazione della assicurazione auto: Le liberalizzazioni nel settore dell’assicurazione auto partite nel lontano 1994 avrebbero dovuto portare una sensibile riduzione dei premi. Invece nel giro di 18 anni il costo della polizza è cresciuto del 245%, quasi 5 volte l’aumento del costo della vita nello stesso periodo. Non è servita l’apertura del mercato ai concorrenti stranieri, non sono serviti gli interventi sul contratto come il trasferimento della classe di merito, la polizza base e tutti gli altri. Agli inizi del 1994, col regime delle tariffe amministrate, per assicurare un’auto di media cilindrata ci volevano in media 700mila lire, cioè 390 euro. Nel 2012 si è passati 1.350 euro. Ai proprietari di moto è andata anche peggio con punte di rincaro del 480%. 4 milioni e mezzo di veicoli non assicurati! Sono i calcoli di Adusbef e Federconsumatori che aggiungono all’aumento percentuale un altro dato sconfortante: su 6 paesi europei considerati, l’Italia è quello in cui il costo assicurativo incide di più sul reddito di una famiglia. Da noi il peso della polizza Rc auto si mangia il 6,5% dello stipendio medio, contro il 3% della Spagna, il 2,9% di Francia e Irlanda, il 2,8% della Germania, fino a un minimo 2,2% della Gran Bretagna.